Da una grotta del Venezuela strumenti per cercare vita nelle rocce di Marte
Sperimentati con successo sul luogo, con mini-laboratori
Dalla ricerca condotta in una grotta del Venezuela arrivano gli strumenti per cercare eventuali forme di di vita intrappolate nelle rocce di Marte. Una spedizione di ricerca internazionale coordinata dall'Italia, ha infatti dimostrato che è possibile utilizzare mini-laboratori portatili per eseguire direttamente sul luogo analisi complesse. I risultati della ricerca, condotta nel 2023, sono pubblicati sulla rivista Biogeosciences. La prima autrice è Martina Cappelletti dell'Università di Bologna e vi hanno collaborato Francesco Sauro e Bruno Casarotto dell'Università di Padova, con le università della Tuscia e di Firenze. I ricercatori hanno studiato la grotta Imawarì Yeutà, e in particolare le formazioni rocciose sedimentarie e stratificate chiamate stromatoliti, che si ritiene siano formate da microrganismi che usavano la luce solare per produrre energia tramite la fotosintesi. Resta un enigma la presenza di questa strutture in ambiente buio come quello della grotta. "Le nostre analisi hanno permesso di rilevare attività microbica e di identificare i principali batteri che potrebbero permettere lo sviluppo di queste strutture", ha detto Cappelletti. "Allo stesso tempo abbiamo dimostrato che è possibile effettuare analisi del Dna e studi microbiologici in tempo reale anche in luoghi estremi e isolati", ha aggiunto. "Per la prima volta siamo riusciti a studiare queste straordinarie strutture direttamente nel loro ambiente, senza prelevare campioni", ha rilevato Sauro. "Questo approccio ci permette di comprendere meglio l'interazione tra geologia e microbiologia in condizioni estreme, con importanti ricadute per l'esplorazione planetaria". Sulla base di questa esperienza in un ambient estremo come la grotta venezuelana, i ricercatori ritengono infatti possibile adottare lo stesso approccio per studiare le rocce marziane. Nel laboratorio portatile, per esempio, l'Università di Padova ha utilizzato una camera iperspettrale e un laser scanner 3D e quella di Bologna strumenti capaci di rilevare l'attività microbiologica direttamente e di sequenziare il Dna estratto dai microrganismi trovati sulle rocce.
F.Amato--PV